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Pianura Padana e futuro della narrativa – Intervista con Davide Bregola

di Federico Pani e Giovanni Catelli

Parlando di narrativa e di case editrici, come credi si sia evoluta la situazione editoriale in Italia negli ultimi dieci anni? Sei ancora critico nei confronti dei “protocolli di scrittura” che menzionavi, insieme agli altri estensori, nel manifesto degli “Imperdonabili”?

Certo, sono temi che mi interessano molto perché io stesso ho sempre “proposto” autori e autrici a case editrici. Dal 2008 al 2017 ho lavorato molto a promuovere autori per Barbera editore che aveva costole come per esempio Barney edizioni, Liberamente, Melville edizioni, ed erano tutti sotto l’egida di Rusconi Libri. Lavoravo dietro le quinte e non volevo comparisse il mio nome su direzione di collane o altro. Ma proponevo editi e inediti, promuovevo autrici e autori e così via. Oltre all’aspetto “artistico”, chiamiamolo così, mi interessava vedere come si muoveva il mercato. Ho constatato che i numeri non si facevano in libreria, ma si facevano con la GDO (grande distribuzione) e con la distribuzione negli autogrill. Per contro però in GDO e in autogrill erano vietati i libri “letterari” e la distribuzione voleva della “Varia” semplice e voleva autori di genere. Così si lavorava su un’idea di libro. Come dicevo prima erano gli anni ’10 e oggi mi sembra già di nuovo cambiato un po’ tutto. Da una parte gli editori di “ricerca” stentano a fare emergere i loro autori, fanno fatica a vendere per rimanere a galla, perché è sballato il sistema di promozione e distribuzione dei libri: c’è un promotore e distributore che monopolizza l’intero mercato e se ti prenota 80 copie di una novità, quando va bene, hai poco spazio di manovra perché quell’esiguo numero di prenotato non promette niente di buono nella stragrande maggioranza delle uscite. Dall’altra parte l’editoria mainstream è spesso supportata da catene di librerie a suo nome e allora attraverso la propria rete riesce a garantire una buona capillarità. C’è da dire però, a scanso di equivoci, che attraverso la vendita on-line dei portali del libro, lavorando bene coi social e con altri mezzi di comunicazione specifici, si può sopperire a tutto il resto. Il passaparola è un mito da sfatare: non esiste. Se il passaparola lo fa una persona credibile e seguita e altisonante, può funzionare. Se sono io a suggerire un bel libro parlandone e facendo vedere la copertina, incuriosisco si e no dieci persone. Ma a essere ottimisti. Spesso scopri che autori molto esaltati da alcuni, in realtà hanno pagato un ufficio stampa privato che fa il lavoro sporco per piazzarlo al meglio sui quotidiani e le radio. Spesso scopri che addetti ai lavori “molto credibili” in realtà sono agenti letterari degli stessi autori che recensiscono il tale o il tal altro e così via. Eppure ci sono realtà sconosciute ai più, tra gli addetti ai lavori, che stanno riscuotendo successi inimmaginabili e sono ancora realtà nascoste, per fortuna nascoste, tutte da esplorare. Mi riferisco per esempio a Lettereelettriche e a Lethal Books. Pur bazzicando nel mondo dell’Horror, del Cyberpunk, del Weird, del Grimdark, mi sembrano lanciati a sondare tipologie di lettori che le case editrici “classiche”, organizzate come pachidermi in via di estinzione, non possono cannibalizzare. E propongono libri in cui vedo “letteratura”. Per esempio il duo Sensolini-Mazza sta scrivendo romanzi di genere in cui il fantasy e tutto il resto ha echi picareschi, ariosteschi, chisciotteschi…insomma la sparano grossa ma hanno gli strumenti per farlo e sommati alla loro passione per i videogames, la cultura pop e tutto il resto, mi paiono una bella sorpresa. Con gli Imperdonabili, che sono emersi proprio in un momento capitale della storia italiana, cioè poco prima del 2020 e della cosiddetta “pandemia” che ha segnato, volenti o nolenti, un nuovo paradigma su tutti i fronti, abbiamo tentato una proposta culturale indipendente che mettesse alla luce contraddizioni e automatismi mentali della maggior parte degli autori e delle autrici contemporanei viventi italiani. Avevamo firmato una specie di decalogo e un premio, il Premio Topoligio, in cui orde di scrittori e opinion leader del mondo della cultura si accodavano e facevano da eco ai decreti e alle ristrettezze che i vari governi ci imponevano attraverso limitazioni e punizioni. Premiavamo col Premio Topoligio quegli scrittori che promuovevano l’uso massiccio delle canzoni sul balcone, del “Ce la faremo”, del “Restiamo a casa”, del “disinfettatevi le mani”, delle mascherine triple da tenere in casa, soli, col proprio gatto sulle cosce a sperare che passasse tutto tra un “Fratelli d’Italia” e un aperitivo on-line. Tutta gente che faceva la predica e che poco prima e subito dopo l’emergenza promuoveva e promuove il “pensiero libero”, la rivolta, l’impegno sociale, l’importanza della cultura come libertà individuale e collettiva. Naturalmente “Gli Imperdonabili” è stato un fallimento totale. Seguito da nessuno, bistrattato, sbeffeggiato. Giulio Milani, il più attivo e presente, col suo editore Transeuropa, ha avuto vita dura e si è fatto terra bruciata attorno. Poi quando tutto è tornato nei ranghi quelli di prima hanno continuato a fare i “pasionari” dei diritti civili, della libertà, della rivoluzione, della pace nel mondo e così via. Tutto dimenticato. Dimenticate le presentazioni on-line di questo o quella mascherati per dare l’esempio di obbedienza. Ora tutti di nuovo a partecipare ai festival dei diritti delle minoranze e via andare, col proprio libro o libroide in mano. Va così. Il mondo è bello anche per questo. Alla fine che vuoi mai, a me non è cambiato nulla. Solo qualcuno che mi ha bloccato sui social, qualche responsabile di casa editrice che non mi pubblicherà mai…ma sai che divertimento assegnare Premi? Uno spasso.

Esiste una padanità nella scrittura? Cioè: c’è una metafisica che unisce la nebbia di Amarcord (lembo estremo della Pianura) alla narrazione stralunata di Cavazzoni? Secondo te, poi, le atmosfere della bassa padana che hai conosciuto da ragazzo si stanno perdendo? Non ti sembra che il passare delle generazioni stia ormai facendo smarrire la specificità di questo mondo?

Per quanto mi riguarda trovo questo argomento molto scivoloso perché ambiguo. Nominando certi autori quali Cavazzoni, Celati, e ancora prima Zavattini e, che ne so, al limite Delfini o altri di cui si parla sempre, non vengono recepiti come autori, ma vengono percepiti come una sorta di “proloco” letteraria ai luoghi da visitare o in cui poter andare in gita. La padanità come marchio di fabbrica, i territori, le geografie, il Po, i mattoidi eccetera eccetera. Uno spazio geografico-letterario come un marchio DOC o DOP che al posto del culatello promuove sempre quei 5 o 6 nomi coi loro articoli sui giornali, i loro libri eccetera eccetera. Autori buoni per fare tesi di laurea breve o poco più. Ma chi se ne frega della padanità, della nebbia, degli stralunati. Per me questi autori, così come quello che ho cercato di fare io, sono agli antipodi delle cose di moda. Oggi quando uno “pensa” alla pianura padana, chissà a cosa pensa, a cosa sta pensando. Per me oggi la Pianura Padana è quel lembo di terra in cui cementificazione, iperproduzione, colture e allevamenti intensivi, PM10, acque con PFAS e via discorrendo, uniti alla manodopera extracomunitaria, agli HUB sperduti in mezzo a campi resi edificabili e via discorrendo, ci fanno già vedere il futuro. E’ già tutto lì, basta intuirlo, saperlo leggere, saperlo vedere, descrivere. Piaccia o meno un luogo per decenni considerato tra i più ricchi al mondo, con un PIL dai numeri dell’economia paragonabili a quelli “cinesi”, si sta trasformando, si è trasformato, è in caduta libera. E’ già tutto lì. Quando qualcuno, per dileggiare i mie libri, parlava di territorio, non aveva capito che a me del “territorio” non frega nulla. Non volevo mandare delle cartoline turistiche a potenziali lettori. A me quel che importa sono gli spazi, certi tipi di spazio. C’è una bella differenza. Se poi in mezzo a quello schifo afoso io ci trovo anche il sublime, e lo racconto con un certo stile, è una mia scelta individuale. Prendere o lasciare. Sono le atmosfere che mi piacciono. Certi pomeriggi invernali, o anche estivi, questi spazi paiono gli spessi di certa Romania, di certa Bielorussia. E io lì, in quell’atmosfera, tra una casa di riposo in costruzione e un supermercato che chiude, mi trovo annichilito, avvinto e ispirato. 

Tra un marocchino che ascolta le litanie al cellulare durante il ramadan e un coltivatore diretto che lo guarda e ti dice: “Guarda al maruchin cal fa al ramadam”, storpiando il termine esatto e scambiando Ramadan in Ramadam, ci vedo un’elegia e un dramma. Gli amici milanesi che venivano ospiti offrendosi per passare 10 giorni nella mia casa in campagna e annaffiare, pensando al territorio, e a certe loro idee letterarie, dopo 2 giorni sono fuggiti perché non resistevano nel silenzio abbacinante, non resistevano ai rumori delle serpi striscianti, ai tafani e alle zanzare…In uno dei mie libri l’ho scritto: vieni in gita qui. Vedrai. C’è chi va a Chernobyl a fare sopralluoghi. Capirai. Puoi benissimo venire anche qui dove l’acqua delle falde ha mutato composizione chimica grazie a decenni di concimi e dove i maiali inquinano come fossimo a Shangai. Ed è così. Tante volte io storpio il nome del mio paese, Sermide, con Chernobyl, e lo chiamo Sermydil, perché ci vedo consonanze di spazi, di colori, di atmosfere. Poi si legge sui giornali che certi appalti vinti per fare strade sono stati vinti da ditte calabresi che nel bitume ci hanno messo materiali radioattivi che dovevano essere smaltiti in altro modo. Negli anni ’80 dello scorso secolo la politica aveva decretato che queste erano “Zone depresse”. “Agevolazioni aree depresse” chiamavano gli interventi economici che i politici affidavano a questi spazi e a me piaceva tantissimo agire, fare, brigare, viaggiare, abitare nella depressione. La depressione come status mi esaltava. Era anche una giustificazione a certi stati d’animo. Conoscere la poesia e la letteratura leggendola da queste zone prendeva tutta un’altra dimensione. Ma per carità, lontane da me le letterature “proloco” e la saggistica “proloco” e i festival proloco per decretare la bellezza dei paesi. Anche perché il passo è breve: tra letteratura DOC e artificio, mestiere, imitazione, espediente, trovata, astuzia, c’è una vicinanza inquietante.

Torniamo a un argomento più generale: come potrebbe adeguarsi la narrativa per provare anche solo a competere con gli altri strumenti mediali, che sono quasi ormai monopolisti dell’attenzione e delle energie cognitive di ciascuno di noi?

Mah, io mi chiedo se è così necessario che la narrativa provi a competere o meglio adeguarsi con altri media. Faccio un esempio: se io sono al cellulare e scorrendo Tik Tok posso vedere video di donnine o omini che muovono il culo e al reel successivo ascolto 30 secondi di un ragionamento memorabile di Roland Barthes e subito dopo vedo un video del Cure o dei Depeche mode che non avevo mai visto e successivamente un commento a Ponge e ancora due tette al vento o un fondale marino meraviglioso, come posso competere? Sono altre cose. Uno ti propone il Paese dei Balocchi (i reel di Instagram, per esempio, ti fanno vedere cose superficiali ma accattivanti per la parte peggiore di te) l’altro mi propone di accettare una storia inventata o presa da una vita reale e mi chiede attenzione per duecento e passa pagine. Come posso competere io con le mie storie che raccontano gli spazi e l’acqua e gli storioni e le estinzioni e qualcosa che sembra già vecchio, e tutto il resto che sembra nuovissimo e up to date e necessario? Persino il giornalismo su carta, i film che raccontano la borghesia capitolina, i romanzoni letterari, al cospetto di GTA 5 o Minecraft e Apex Legends (che sono videogames) perdono su tutti i fronti perché hanno bisogno di tempo, di attenzione, di un certo tipo di passo. Ogni media ha il suo tempo di fruizione e in questo ventennio i tempi di fruizione culturali stanno andando di pari passo con una certa fruibilità facilitata. Passa l’idea che ciò di cui parlano tutti è più impellente e più giusto delle questioni di nicchia e degli approfondimenti. Il romanzo, così come lo conosciamo, risponde a certe dinamiche e a certe modalità e non ad altre. Hanno provato di tutto, anche in passato: libri con cd, libri con musicassette (sic!), ora ci provano con gli audiolibri, i QR Code, la realtà aumentata, i romanzi che sono già sceneggiature pronte per serie Netflix o Amazon Prime. Sono esperimenti. Io che ho il privilegio di poter essere letto da poche persone e non ho il patema di dover raggiungere numeri da fenomeno, opto per la sobrietà. Non mi interessa essere competitivo con altri Media. Ci pensavo ieri. 

Ho visto un video su youtube in cui c’è un signore veneto, sempre mezzo ubriaco, che finisce nel fosso con la bici, che bestemmia contro un cinese del bar che non gli dà il bianchino, che discute di motori con uno intento a pulire l’auto. Ha milioni di visualizzazioni, c’è un linguaggio, uno stile, c’è la contemporaneità, il personaggio, l’ambientazione, un certo tipo di sottotrama e tutto il resto. Logico che me lo guardo ed è uno spasso e mi fa pure pensare. Ce l’ho lì su youtube. Gratis. Senza intermediari. Pensa invece anche solo a provare a cercare il mio libro: devi sapere chi cazzo è Davide Bregola, con questo cognome impronunciabile che mi dimentico nel giro di un battito d’ali, devi saperne il titolo, prenotarlo, pagarlo, avere il tempo di leggere 200 pagine eccetera eccetera. Obiettivamente come possono le mie storie competere con il signore veneto ubriaco? Ma non dico io, penso a tutti quegli autori veneti che raccontano il disagio, il perturbamento, che hanno fatto della disperazione la loro poetica, come possono competere con i video dell’ubriacone veneto che dialoga col meccanico cinese nel profondo del profondo dell’Italia del Nord-Est. Come può uno scrittore romano competere coi Reel del Brasile? (per chi non lo sapesse Brasile è un malfattore romano tatuato che racconta la sua vita sui social) e così via. Secondo me la soluzione sta nel non avere soluzioni, cioè sta nel non mettersi nemmeno a provare a competere e ad adeguarsi. Il segreto non sta nel voler provare a cambiare il mondo. Il segreto sta nel cambiare mondo. Così io vedo un futuro di autopubblicazione e stampe d’arte per gli amici. Il futuro sarà bellissimo.

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Questa voce è stata pubblicata il aprile 11, 2023 da in Incontri con tag , , , , .