café golem

l'inserto culturale di East Journal

Pablo Silva Olazabal – Borges e l’altro Onetti

Traduzione di Rosana Malaneschii

Sembrano sempre su marciapiedi opposti, senza nulla in comune. Non so quanti scrittori della regione del Rio de la Plata fossero appassionati dell’opera di William Faulkner negli anni Trenta: sospetto che siano pochi. Ma se anche fossero molti, stiamo comunque parlando di un’affinità estetica che colpisce ma che non è servita a rilevare le affinità. L’opera di entrambi era immersa in quella che in seguito venne chiamata “crisi del narratore” – dobbiammo smettere di problematizzare questa figura e naturalizzare ciò che è, il primo personaggio di ogni narrazione – una fessura che con Faulkner raggiunse livelli più che inaspettati. In questi tre scrittori, la figura del narratore assume un’importanza capitale e una visibilità corrispondente. Si potrebbe obiettare che Faulkner è stato fondamentale per altri grandi scrittori latinoamericani, ma io sto parlando del Río de la Plata: è difficile trovare in quest’area lettori attenti come Onetti e Borges. Eppure nemmeno questo sembra unirli; tutto ció che appare è contrasto e distanza.
            Anni fa chiesi a María Esther Vázquez, coautrice di diversi libri con Borges e sua amica e assistente per anni, se avessero mai parlato di Faulkner e, per inciso, se lo avesse sentito nominare Onetti. Mi disse che avevano parlato molte volte del primo, ma non ricordava di aver mai sentito Borges pronunciare  il nome dell’uruguaiano. Anni dopo ho posto la stessa domanda a Noemí Ulla, un’altra amica dell’autore di El Aleph, e la risposta è stata la stessa. Nessuna di loro ricorda di aver parlato di Onetti.
L’altro Onetti
Nel 1974 il critico Jorge Ruffinelli pose la stessa domanda, ma questa volta direttamente a Borges:

– Quali scrittori latinoamericani attuali ha letto: Juan Carlos Onetti?

– Lo conosco poco… Ricordo che era zoppo, vero? Non era zoppo?

– No, non lo era.

– Sì, credo di conoscerlo, ma non ho mai letto nulla di suo. Credo che sia morto,

ed è morto, vero?

Sembra una battuta ma non lo è; Pablo Rocca sostiene nel suo articolo “Los Onetti y Jorge Luis Borges” (Fragmentos Nº 28, 2005) che la risposta era “un’ironia borgesiana, o una battuta di pessimo gusto” e che in realtà si riferiva a un altro Onetti.

Si tratta di Carlos María Onetti, nato a Melo nel 1894 e morto a Paraná nel 1940; secondo lo stesso Rocca, era cugino del famoso romanziere uruguaiano e figlio del poeta Luis Onetti Lima (1874 – 1940?).

Carlos María non godeva di buona salute: morì all’età di 46 anni e aveva un handicap fisico di cui non è chiara la natura. Si trasferì in Argentina in giovane età, interessato alle avanguardie; secondo Rocca, fu il primo a tradurre in spagnolo il saggio di Jean Epstein La poesía de hoy (Buenos Aires, 1920 circa).

Nel 1927 si stabilì a Paraná, dove visse e insegnò per gli ultimi tredici anni. Ha lasciato il segno in quella città, al punto che una strada, una scuola e un centro culturale (che non esiste più) sono stati intitolati a suo nome. Probabilmente, molto più di quanto abbia fatto suo cugino Juan Carlos nella sua città natale.

A Paraná Carlos María Onetti ha intrapreso una discreta carriera di insegnante, e ci sono articoli di stampa che dimostrano che era ancora ricordato anni dopo la sua morte. 

Fu insegnante, membro dell’Istituto degli insegnanti secondari del Paraná e della Facoltà di Scienze dell’Educazione, nonché conferenziere e poeta, anche se la sua attività lirica divenne sempre più marginale. Ciò che è rilevante è che ha avuto una grande influenza sui suoi studenti. È considerato per la rivista letteraria Sauce come “il grande maestro e animatore spirituale di Paraná”. In un necrologio fornitomi dallo scrittore Matías Armándola di Paraná (a cui sono arrivato tramite lo scrittore Fernando Belottini, di Concordia), si legge quanto segue:

“Il maestro Onetti riunì in quell’aspetto tutti gli altri talenti che la sua anima generosamente dispensava. In cattedra era poeta e amico, un meraviglioso paroliere e un non meno sorprendente maestro di sintesi folgoranti”. Più avanti, l’autore di questo articolo, il poeta Carlos A. Álvarez, sintetizza finemente: “il paradosso, sulle sue labbra, suonava come un’evidenza”.

Un temperamento delicato

Carlos María aveva il temperamento di un artista delicato e, come è stato detto, “uno sfortunato handicap fisico”. Come intellettuale di provincia, tenne conferenze a Santa Fe, Tucumán e Paraná su molti scrittori, dimostrando una competenza invidiabile: Mansilla, Apollinaire, Martí, Unamuno, Verlaine, José Asunción Silva e Valery furono tra i suoi prescelti. Uno dei suoi libri più noti, “Cuatro clases sobre Sarmiento escritor”, è stato pubblicato dall’Università di Tucumán. La sua carriera lo rese un costante animatore culturale, al punto che il poeta Alfonso Sola González sostenne che “quella che è stata chiamata la Generazione del Paraná è stata interamente opera sua”.

Un altro necrologio sottolinea il suo entusiasmo argentino: “Pur essendo nato nella Repubblica Orientale, possiamo dire che Onetti era molto nostro, perché si sentiva argentino non solo intellettualmente ma anche sentimentalmente. I suoi studenti hanno spesso potuto apprezzare l’emozione con cui si riferiva agli uomini più illustri della letteratura e della storia argentina, la conoscenza della causa con cui trattava i suoi argomenti e la passione che metteva nel suo lavoro di educazione dei nostri giovani”.

Infine, quando fu sepolto, l’Instituto de Profesores e la Escuela de Bellas Artes sospesero le lezioni. Deve essere sepolto nel cimitero di Paraná, probabilmente in una tomba nominata.

Santa María e il suo riflesso, Paraná

Nel 1945, Juan Carlos Onetti pubblica il racconto La casa en la arena (La casa nella sabbia): in questo testo inizia la saga di Santa María. Secondo quanto ha raccontato all’amico Omar Prego, l’ha creata dal ricordo di un viaggio nella provincia di Entre Ríos. Lì, racconta, “ho trascorso due o tre giorni a Paraná, che ha un lungomare, come Santa María”.

In quella città fu felice per un giorno, senza alcun motivo. In un’altra occasione ha detto che gli abitanti del Paraná sono “gli uruguaiani dell’Argentina”, per la loro inclinazione all’interiorità e una certa malinconia.

Per quanto si sa, non parlò mai del suo cugino scrittore del Paraná, ma è difficile pensare che lo abbia dimenticato quando passò da quella città.

Lì ha visto qualcosa che si è rivelato un potente innesco artistico, qualcosa che gli ha permesso di creare Santa María, cioè di fissare una visione che aveva già avuto in precedenza (credo che abbia acquisito la consapevolezza di cosa sia la vita in un villaggio durante l’adolescenza e la giovinezza a Villa Colón; nel suo ultimo romanzo, “Cuando ya no importa”, lo rende esplicito quando scrive che nella piazza di Santa María c’è un improbabile eroe smontato, “che tiene in mano un grappolo d’uva molto grosso, cullato in una foglia d’uva”: è la descrizione della statua in Plaza Vidiella, nel centro di Villa Colón).

In ogni caso, Onetti è stato in grado di immaginare un villaggio in riva al fiume, con un medico che possedeva un delicato temperamento artistico e una visione scettica e a volte acida – ma in definitiva pia – dell’umanità. Anche nella sua opera magna, La vita breve, si immaginava di lavorare al giornale di quella città.

Oscar Wilde diceva che la vita imita l’arte molto più di quanto l’arte imiti la vita; allo stesso modo, lo stesso Onetti sosteneva che se si fosse sviluppata una letteratura su Montevideo, i montevideani avrebbero finito gradualmente per assomigliarle.

Carlos María Onetti muore a Paraná nel 1940, e Santa María nasce furtivamente nel 1945 per raggiungere il suo apogeo nel 1950, ne La vida breve. Un fiume, un villaggio, una colonia di contadini, lo spazio della costa che produce i suoi personaggi. Perché la costa è molto più di uno spazio geografico: è una mentalità, un profilo e un modo di stare al mondo che trascende i limiti dei Paesi. Centra il suo asse sul fiume, sui fiumi.

Onetti sapeva che suo cugino viveva in un’inquietudine permanente – definita in un necrologio “agonia unamuniana”? Non è affatto difficile immaginarlo con il suo “impedimento fisico”, affacciato alla finestra a osservare le incomprensioni vitali della gente del Paraná mentre riflette sul naufragio dell’esistenza umana, sempre condannata a essere un processo di demolizione.

Gli artifici della finzione che producono la propria realtà, o viceversa, la realtà trasmutata in finzione. Alla fine, la cosa più importante è il narratore; se è un medico, che abbia la sensibilità di un poeta.

Il terzo Onetti

C’è un poeta e cantante di Salta, appassionato di zamba argentina, che Borges non conosceva e probabilmente non ha mai sentito nominare. Sicuramente Onetti lo conosceva e frequentava attraverso sua famiglia e lo godeva grazie a Los Olimareños.

Si chiamava Víctor Lima e il suo secondo cognome era Onetti. Ammirava molto Borges (tanto da progettare un libro, Fervor de Treinta y Tres, di cui sono note molte poesie, in evidente omaggio all’argentino). Si sa che si stabilì a Buenos Aires nel 1939. Il suo biografo, Leonardo Garet, afferma che “si presume che abbia vissuto in casa di un cugino del padre, lo scrittore Juan Carlos Onetti”. Ma non conosceva anche Carlos María, che viveva a Buenos Aires? Qui c’è molto da indagare.

Víctor Lima era un poeta ambulante, autore di versi come questi, che non sarebbero dispiaciuti a Borges:

Benessere  all’albero che tende

l’ombra di cui ho bisogno

per riposare la mia ombra

sul ciglio della strada

Quanto è bello essere amati

Arrivo e vorrei rimanere

è il caracu della mia assenza

il desiderio di impossessarsi di me.

Nel suo famoso inno al Salto parla della luce arancione della costa:

Nato in terre profumate

di aranceti in fiore

la mia vista ha il calore

della luce arancione

dell’assenza svelata

di essere io stesso un’assenza

un giorno ho trovato l’amore

lontano da Salto oriental

la mia dolce patria

quello dell’innocenza”.

E ha coltivato anche la poesia sociale, come questa:

Finché ci sarà il mondo

un povero che si confronta con i ricchi

le persone che sono povere

mai saranno mai povere persone”.

Anche se il suo lato più esistenziale e tellurico ha connotazioni zen, o forse borgesiane, come in questi versi:

“Io, che mangio dalla terra

che un giorno mi mangerà

Penso che la terra sia

una cosa di vita nell’eternità”.

L’altro Borges

Borges ci ha insegnato che non esistono letture sbagliate, che sono tutte pertinenti e forse necessarie. Con un lapsus, forse un’offuscamento, ha menzionato l’altro Onetti. Ma l’intuizione poetica non conosce errori: forse ci ha dato – involontariamente? – un’altra lettura dell’opera di Onetti, evidenziando un nodo che nessuno aveva visto.

In questo senso, e come tutto ha un risvolto, dovremmo pensare a chi, in questo ambito, potrebbe essere l’altro Borges. I candidati non mancano, ma forse, come sempre, la risposta sta nel nome, e il secondo cognome di Onetti è Borges. Così, Juan Carlos Onetti Borges potrebbe essere, a pensarci bene, l’altro Borges: il riflesso sull’altra sponda del fiume. Un flash per il quale Georgie stesso non poteva che provare vertigine e, forse, avversione.

Lascia un commento